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30 settembre 2010 – Non poteva che finire direttamente in fondo al mare. Conciato così, con i pesanti anelli del tipo in uso per gli attrezzi ginnici legati ad una catena metallica stretta attorno al collo.
Dietro l’incredibile rinvenimento del Pit bull pescato nel mare di Trieste potrebbe inoltre esserci una continuata storia di maltrattamenti. La Polizia, infatti, sta venendo a capo di una vicenda che all’inizio presentava non poche fonti di dubbio. La prima era relativa alla presenza di un microchip dalla cui lettura non si riusciva a risalire, infatti, ai dati dell’anagrafe canina.
 
Tramite indagini la Polizia è risalita invece al proprietario. Si tratta di un cittadino italiano che ha vissuto lungamente in Austria, dove aveva microchippato il cane. Il proprietario, però, nega ogni coinvolgimento nella vicenda. Dalla perquisizione domiciliare sono però saltati fuori alcuni pesi del tutto identici a quelli legati alla catena mortale. Non solo.
 
Le indagini subito avviate dalla Polizia di Stato di Trieste, Commissariato Muggia, hanno raccolto una fonte testimoniale che asserisce di aver visto lo stesso proprietario in atteggiamenti molto violenti ai danni del povero Pit bull. Sul cane è stata disposta l’autopsia, la quale stabilirà se l’animale è morto per annegamento oppure se è stato gettato in mare già morto.
 
Per il proprietario solo l’ipotesi di reato di cui al 544 bis del Codice Penale (uccisione di animali) ma nessuna comunicazione in tal senso è ancora pervenuta all’Autorità Giudiziaria.

geapress.org
 
 

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