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Usare gli animali come cavie non serve. Dati inaffidabili per l'uomo
Tra i veterinari si fa avanti la convinzione che i test sugli animali, oltre che problemi etici, sollevino anche seri dubbi scientifici: non sono predittivi.
 
Non sono solo gli animalisti, stavolta, a sollevare il problema. E non si tratta solo di una sia pur sacrosanta visione etica. Il punto di vista diventa sempre più diffuso anche tra gli scienziati e, in primis, tra i veterinari. Se si cercano evidenze realmente utili anche per gli umani, i test sugli animali sono un'arma spuntata, uno strumento fragilissimo dal punto di vista scientifico.
 
«Il lancio di una monetina è più predittivo» ha sostenuto ad esempio, André Menache, medico veterinario e direttore di Antidote Europe nel corso della conferenza "L’errore nella ricerca biomedica", tenutasi a Roma, che aveva come focus proprio l’analisi di questa problematica. «Numerosi studi – ha affermato Menache - hanno comparato la tossicità di un farmaco negli animali con le reazioni avverse al farmaco osservate in pazienti umani. La correlazione tra i due ordini di dati in media è del 30%».
 
La conferma definitiva che il metodo sia sbagliato? Arriva, secondo lo studioso proprio «dalle numerose morti che avvengono nei Paesi occidentali per reazioni avverse ai farmaci». Questi decessi occupano il quarto posto tra le cause di morte dopo infarto, tumore e ictus.
«Abbandonando i test sugli animali – ha proposto il veterinario - potremmo finalmente destinare risorse più adeguate allo sviluppo e al perfezionamento dei metodi di ricerca basati sull’uomo, attualmente predittivi solo al 75%, rendendoli ancora più accurati e affidabili».
  
In sintonia anche tanti altri interventi. «È un errore metodologico – ha confermato Fabrizia Pratesi De Ferrariis, a nome del comitato scientifico Equivita - considerare gli animali modelli attendibili per l’uomo. Basti pensare – ha concluso - che perfino ratti e topi, specie strettamente imparentate, offrono risposte differenti tra di loro nel 60% dei casi».
  
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