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Pene più severe per chi utilizza la pelliccia di cani e gatti
 
Fino a un anno di reclusione per coloro che importano (dalla Cina) le pelli di questi animali per inserirle su capi d'abbiagliamento. Uno sconcio che continua, nonostante l'allarme della Ue. «Il peggior segreto dell'industria della pellicceria», dice la Lav (Lega Antivivisezionista)  
 
Non la passerà liscia chi importa pelli di cani e gatti dall'estero per utilizzarle su cappotti e giacconi magari confezionati in Italia. Il Consiglio dei Ministri ha approvato il Decreto Legislativo che introduce un nuovo sistema sanzionatorio nel contrasto al commercio di pellicce di questi animali domestici.
Nel nostro ordinamento, già dal 2004 con la Legge n.189 articolo 2, è vietato «utilizzare cani e gatti per la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le stesse nel territorio nazionale».
 
A seguito dell'approvazione del Regolamento 1523/2007, il governo ha quindi integrato le disposizioni della legge 189 aggiungendo la condotta dell'esportazione alle altre condotte già previste e punite con sanzione penale. Chi, privato cittadino o azienda, dovesse essere coinvolto in tali attività sarà infatti punito con l'arresto da tre mesi ad un anno o con l'ammenda da 5.000 a 100.000 euro; oltre alla confisca e distruzione del materiale a proprie spese.
«Il peggiore segreto dell'industria della pellicceria»: così si intitolava la campagna della Lav (Lega Anti-vivisezione) a che denunciava nel 2001 la strage di cani e gatti utilizzati per il confezionamento di inserti in pelliccia (in cappotti, giacche, scarpe, suole per scarpe e stivali); un mercato semi-clandestino che, grazie a diciture fuorvianti riportate sulle etichette di capi di abbigliamento commercializzati in Europa e in Italia, causava la sofferenza e la morte di almeno 2 milioni di cani e gatti all'anno. Animali allevati in Cina e in altri paesi asiatici in condizioni spaventose, privati di ogni elementare diritto e uccisi con metodi di violenza inaudita. Tutto questo per soddisfare l'industria della pellicceria ed ingannare gli ignari consumatori.
A seguito delle investigazioni attuate dalla Lav che accertarono la presenza di capi di abbigliamento con pellicce di cane in vendita in alcuni grandi magazzini italiani, questo commercio venne bloccato in Italia (come primo Paese europeo) già dal 2004. Danimarca, Grecia, Belgio e Francia si unirono in un secondo momento all'Italia, sino poi ad ottenere nel 2007 il bando definitivo in tutto il territorio dell'Unione Europea con il Regolamento 1523/07.
 
«Al fine di assicurare l'effettiva applicazione del Regolamento 1523/07 occorre individuare un idoneo sistema di identificazione della specie di provenienza, in modo da consentire controlli efficaci sulle merci in entrata e in uscita dall'Italia - dichiara Simone Pavesi, responsabile Lav settore pellicce-. Chiediamo quindi al Ministero della Salute di validare i necessari metodi di analisi, così come richiesto nello stesso Regolamento, e di attuare uno specifico piano straordinario di controlli al fine di stroncare una volta per tutte questo vergognoso mercato clandestino».
 
Redazione Ilgiornale.it

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