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Un gatto morto in una clinica veterinaria a causa della negligenza del medico, un padrone sofferente per la perdita della bestiola: è danno morale.
Lo ha stabilito la Cassazione che, pertanto, ha condannato la clinica al risarcimento
 
“Anche i gatti hanno un'anima, a condizione che abbiano un padrone”.
 
Si può sintetizzare così la motivazione di una recente sentenza della Cassazione, che ha riconosciuto il danno morale al padrone di un gatto, morto in una clinica veterinaria per una prestazione medica eseguita male. E’ bene precisare che il danno morale va inteso come un “patema d’animo”, una sofferenza che attiene alla sfera psichica di un dato soggetto, come può essere un particolare stato d’ansia patito in conseguenza del verificarsi di un dato evento.
 
Nel caso di specie, il padrone di un gatto aveva fatto istanza al Giudice di Pace affinché condannasse la clinica veterinaria al risarcimento del danno morale patito quale conseguenza della morte della povera bestiola.
Il giudicante aveva riconosciuto la struttura sanitaria colpevole di negligenza per avere praticato al gatto, durante la sua degenza, una trasfusione di sangue poi rivelatasi fatale.
 
La trasfusione, infatti, era stata fatta senza prima accertarsi delle condizioni di salute dell'animale donatore, che dopo alcuni giorni dal prelievo era deceduto, perché affetto da una malattia ematica. A distanza di poco tempo anche il gatto destinatario della trasfusione era peggiorato, fino a morire quando era ancora ricoverato in clinica. Il fatto che l'intervento fosse stato messo in atto senza i preventivi controlli sulla qualità del sangue utilizzato è stato per il giudicante la prova di un comportamento imprudente e disattento che ha provocato la morte dell'animale e per il quale la clinica doveva rispondere versando una somma a titolo di indennizzo per il danno morale cagionato al proprietario del gatto.
 
La clinica veterinaria impugnava la sentenza innanzi alla Corte di Cassazione, la quale confermava la decisione del Giudice di prime cure, affermando il principio di diritto secondo cui il Giudice di Pace, nell'ambito del solo giudizio di equità (ossia quel procedimento in cui la soluzione del caso concreto si individua in una pronuncia che realizza un equo contemperamento degli interessi in gioco, in ragione delle condizioni sociali, economiche, istituzionali nelle quali la lite si colloca), può ordinare il risarcimento del danno morale, sempre che il danneggiato abbia allegato e provato, anche attraverso presunzioni (in questo caso il nesso trasfusione-morte del gatto), il pregiudizio subito, essendo da escludere che questo tipo di danno rappresenti, di norma, una conseguenza automatica dell'illecito.

Angela Trombini
 
rovigooggi.it

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