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I tentativi degli animalisti a Taiji sono stati vani e il massacro si è compiuto.Anche in Italia, a Favignana (TP), ogni anno accade qualcosa di molto simile...

Taiji è una bella cittadina a circa 500 Km a sud-ovest di Tokyo, adagiata sulle sponde dell'oceano Pacifico che qui crea delle suggestive baiette lambite da acque turchesi e verde smeraldo; sui muri delle case e per le strade campaggiano statue, mosaici e affreschi che raffigurano simpatiche riproduzioni di delfini. Un angolo di paradiso, dunque? No, un vero e proprio inferno per  migliaia di delfini che ogni anno vengono dapprima disorientati e attirati in trappola dai pescatori che battono i remi per disorientare il loro sensibilissimo sonar e poi, salvo qualche "fortunato" esemplare che verrà spedito ad esibirsi nei delfinari o nei parchi acquatici, li massacrano a colpi di ramponi e fiocina. La carne dei cetacei viene poi immessa sul mercato, spacciandola per carne di balena, una delle ghiottonerie più ricercate della cucina nipponica, per procurarsi la quale il paese asiatico viola da anni la normativa internazionale che tutela la balena in quanto specie in pericolo di estinzione col pretesto che l'uccisione di questi animali avverrebbe a scopo di ricerca scientifica.
 
A sollevare il velo sulla mattanza che si ripete puntuale ogni anno a settembre è un documentario "The Cove" (La Baia) girato da Richard O'Barry, ex-addestratore del delfino Flipper e ora oppositore della cattività  e dell'addestramento dei delfini al fine di portarli ad esibire nei parchi acquatici, e da Louie Psihoyos, fotografo del "National Geographic" e recentemente premiato al Sundance Film Festival.  Il documento- come ha rivelato lo stesso O Barry, è stato girato in clandestinità , posizionando delle telecamere  in alcuni punti fissi così¬ da riprendere la scena del massacro (una parte della quale è disponibile in rete), perchè le iniziali intenzioni dei due cineasti di documentare la pratica agendo per vie legali, cioè con l'autorizzazione delle autorità  del posto, si è scontrata con un muro di dinieghi e minacce neanche troppo velate, come quella del sindaco di Taiji che ha affermato che <<avvicinarsi troppo alla baia significa farsi molto male>>.
 
E, a conferma del silenzio che le autorità  giapponesi vorrebbero far calare sulla strage di cetacei, tutta l'area dell'insenatura è infatti recintata  da siepi di tela catramata sormontate da filo spinato e presidiata da telecamere a circuito chiuso e guardie armate.
Il documentario, venuto in brevissimo tempo alla ribalta in Occidente, ha suscitato comprensibili ondate di indignazione, come quella della giunta comunale di Broome, cittadina australiana gemellata con Taiji che ha comunicato alla sua partner giapponese che i rapporti i gemellaggio riprenderanno solo se e quando la mattanza dei delfini avrà  fine.
 
Guardando al nostro paese, dobbiamo invece cospargerci il capo di cenere, non perchè la strage compiuta in Giappone abbia avuto un'accoglienza favorevole (ci mancherebbe solo questa), ma perchè nelle nostre acque ancora troppi delfini muoiono impigliati nelle "spadare" (le famigerate reti killer lunghe decine di chilometri che, nonostante siano state messe al bando, continuano ad essere impiegate come dimostrano i sequestri di quest'estate) e, non ultimo, perchè la mattanza dei tonni a Favignana (TP) non è certo uno spettacolo meno barbaro e orripilante, quantunque certuni, media compresi, abbiano il coraggio di parlarne come di una tradizione, quando non addirittura come di un'attrazione turistica.
 
Serena x Gattopoli
 

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