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GARGANO: 7 CAPODOGLI ARENATI SULLA SPIAGGIA
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5 capodogli morti e due in agonia
Gargano il cimitero dei "moby dick"
BARI –
Nella ultime ore è morto un altro dei sette capodogli che, giovedì, si sono spiaggiati sulla costa di Foce Varano, nel Gargano. Ne rimangono in vita soltanto due ma sono agonizzanti
e, secondo gli esperti, nulla si può fare per salvarli. Intanto, non trova ancora riscontri la notizia (riferita ieri sera da alcuni pescatori) che altri due cetacei si sono spiaggiati a un paio di chilometri dall'arenile-cimitero di Foce Varano.
La notizia avrebbe, in effetti, i margini per essere credibile in quanto, ieri mattina, i cetacei in difficoltà non erano sette ma nove. Due, però, stando alle testimonianze, sarebbero riusciti a tornare in acque più profonde.
Così, ieri sera una motovedetta ha tentato di verificare quanto sostenuto dai pescatori ma ha dovuto abbandonare le ricerche a causa del mare mosso e delle insidie di una navigazione notturna sotto costa. Questa mattina, a quanto reso noto, riprenderanno i controlli.
Però, anche se venissero trovati in vita, c'è il rischio che non si possa aiutarli, così come s'è rimasti impotenti davanti alle sofferenze dei capodogli spiaggiati a Foce Varano.
Tanto che questa mattina il lavoro del tavolo tecnico (con i biologi, l’assessore provinciale all’ambiente Stefano Pecorella, i sindaci di Cagnano Varano e Ischitella, i veterinari della Asl e Sandro Mazzariol, il coordinatore dell’equipe veterinaria di Padova che sta eseguendo un progetto sperimentale proprio sui cetacei) ha un unico punto all'ordine del giorno: risolvere il problema delle carcasse. L'idea è quella di interrare i cetacei in una cava nei pressi di Cagnano Varano dove si dovrebbero svolgere anche i
rilievi per chiarire anche le cause dello spiaggiamento dei cetacei.
Inoltre, una delle carcasse potrebbe essere prelevata dalla Fondazione cetacei e portata a Riccione per motivi di studio.
LA LENTA AGONIA DEI "MOBY DICK"
- Una lenta consunzione per questi giganti del mare dal corpo enorme fatto per raggiungere gli abissi più profondi e che ora giacciono, inermi, a pelo d'acqua. Una condizione che espone i loro organi vitali a schiacciamento dovuto all'enorme peso. «Purtroppo - spiega il maresciallo Grassisi della Guardia Costiera di Vieste -
non c'è soluzione. E' molto difficile intervenire, forse l'unica cosa che si potrà fare è non farli soffrire troppo a lungo.
Comunque sul posto c'è il dott. Alessandro Bortolotto, che è responsabile nazionale del Centro studi cetacei, supportato da una nostra unità e dal comandante pro-tempore di Rodi Garganico, primo maresciallo Domenico Stefania».
Nella caletta-cimitero ieri è giunto anche il prof. Nicola Zizzo (Facoltà di veterinaria, dell'Università di Bari) che spiega così le difficoltà che ci sono per riportare al largo le bestie spiaggiate: «Le condizioni del mare non sono ideali per fare arrivare la pilotina. Stiamo appunto valutando come trattare gli animali che agonizzano perché sono a pochi metri dalla battigia e, per trascinarli al largo, oltre che mezzi idonei, ci vogliono cautele sia per evitare che, trascinandoli, si provochino loro danni e sofferenze, sia perché dobbiamo assolutamente evitare che qualcuno degli operatori possa correre rischi. Sono pur sempre cetacei di circa
12 metri
, peseranno
venti tonnellate
».
Anche muovere le carcasse dei 5 capodogli morti sulla costa garganica è un problema
: «Il Ministero dell'Ambiente - continua il professor Zizzo - ha allertato la prefettura di Foggia che, a sua volta, si è messa in contatto coi sindaci perché possano avere le autorizzazioni sia a operare, sia al recupero delle carcasse da parte dei vigili del fuoco. Le carcasse, infatti, dovranno essere trasporte in luoghi idonei per fare
l'autopsia
che sarà eseguita da me, dal dott. Troiano dell'Istituto Zooprofilattico di Foggia e da un gruppo della Facoltà di veterinaria dell'Università di Padova».
«L'intervento del Ministero è fondamentale - afferma Zizzo - perché i capodogli sono animali "cites" (dal nome della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione; ndr), cioè
sono animali molto protetti
».
Insomma, quanto accade sulle coste pugliesi è qualcosa che sembra lasciare smarrite le istituzioni. Qualcosa di inaspettato, come confermano gli esperti. Secondo Marco Affronte (biologo marino e responsabile scientifico della Fondazione Cetacea onlus di Riccione), «
si tratta di un evento eccezionale perché in Adriatico non è assolutamente frequente. Anzi, in Adriatico i capodogli capitano rarissimamente
». E il prof. Zizzo: «Questo è un evento eccezionalissimo non è mai successo uno spiaggiamento di massa dei capodogli nel Mediterraneo. E' un evento mondiale».
COME AGIRE PER SALVARE I CETACEI? E COSA LI HA SPINTI A TERRA?
Ma cosa si può fare per salvare i capodogli superstiti? «Noi ci stiamo occupando proprio di questo - afferma Zizzo - ma non è semplice. Allo stato, siccome c'è mare grosso,
le ondate li tengono bagnati e noi stessi tentiamo di bagnarli
. Il protocollo internazionale per i grossi cetacei prevede di imbracare ogni animale completamente (e questo significa togliere tutta la sabbia che sta sotto al capodoglio), poi trascinarlo piano, piano, tenendolo minimamente sollevato, per portarlo al largo. Infatti, il problema è che il loro peso provoca lo schiacciamento dei polmoni e si ha una degenerazione di tutti i livelli vitali.
Ma ci vorrebbero mezzi enormi, di quelli americani. In Europa non esiste niente di simile
».
Secondo la presidente dell’associazione ambientalista Marevivo, Rosalba Giugni, da una prima analisi
gli esemplari spiaggiati non sembrano essere soggetti malati
ma, per ogni valutazione,
bisognerà attendere i risultati degli accertamenti
affidati, tra gli altri, ad Sandro Mazzariol, dell’Università di Padova, che lavora al Progetto della Banca tessuti dei mammiferi marini, ed Alessandro Bortolotto, del Centro studi cetacei.
«Resta da chiarire quali siano le probabili cause, che non saranno note – dichiara Giugni – fino al completamento delle analisi e dell’autopsia. In ogni caso,
un evento molto grave che contribuisce ad impoverire la biodiversità del mare già pesantemente minacciata
».
GLI ENTI COORDINANO GLI SFORZI
- Ieri, in serata, l’assessore all’ambiente della provincia di Foggia, Stefano Pecorella, ha anche convocato una riunione tecnica cui hanno partecipato esperti di varie università, dell’Istituto Zooprofilattico di Foggia e del ministero dell’ambiente, rappresentanti dell’Ausl, della protezione civile, della guardia costiera, i sindaci dei comuni costieri interessati.
«E' stato fatto il punto degli interventi che si possono mettere in atto – ha detto l’assessore – e cercato di verificare se sia possibile l’accesso al mare di mezzi speciali per il recupero delle carcasse. Le difficoltà derivano dalle pessime condizioni del tempo e dal fatto che il tratto di costa è completamente sabbioso, così che è difficile far accedere al mare mezzi in grado di sollevare e trasportare animali del peso medio di 15 tonnellate ciascuno».
SONO PASSATI DUE GIORNI DALLA PRIMA SEGNALAZIONE
La prima segnalazione di avvistamento dei poveri cetacei è stata lanciata giovedì pomeriggio alle 15.30, quando gli uomini della Capitaneria di Porto di Vieste hanno allertato il Centro Nazionale Studi Cetacei e il servizio Veterinario. Stando alla ricostruzione, la segnalazione parlava di 3 cetacei spiaggiati e 6 molto prossimi alla zona di non ritorno, alla riva.
Sempre, in base alle testimonianze raccolte, all'alba di ieri, tre capodogli erano già a riva, erano spacciati, due erano riusciti a tornare dove l'acqua è alta e 4 erano ad una quarantina di metri dalla riva. Forse si poteva tentare in quel momento di sbarrare loro la strada verso la morte. Evidentemente, non è stato possibile tenerli al largo.
Lentamente, nella mattinata di ieri, esperti da tutta Italia sono confluiti nella zona e hanno fatto dozzine di riunioni per tentare di organizzare le procedure idonee per portare in salvo i tre cetacei che, pur spiaggiati, erano ancora in vita. Oltre a studiosi dell'università di Bari, come il prof. Nicola Zizzo, e esperti di cetacei dell'Università di Padova, anche altri volontari si sono mobilitati. Tra gli altri, Giovanni Furii, biologo che lavora al Centro di recupero tartarughe marine di Manfredonia, che ha cercato di raggiungere la zona via mare, ma è stato fermato a causa del forte vento. Anche Greenpeace Italia si è allertata.
Ma, alla fine, non s'è potuto fare nulla, se non vederli morire. Nel Mediterraneo, infatti, non esiste un coordinamento internazionale per salvare i grandi cetacei. Mancano i mezzi per trascinarli via dalle secche in sicurezza. E, soprattutto, manca una piscina idonea in cui portarli per dare loro il tempo di recuperare le forze e l'equilibrio.
Senza questi giorni di recupero in ambiente protetto - spiegano gli esperti - ove anche si fosse riusciti a portarli al largo, c'era il rischio concreto di ritrovarseli spiaggiati un po' più in là.
di MARISA INGROSSO
La Gazzetta del Mezzogiorno
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