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BARCELLONA: FORSE L'ULTIMA CORRIDA
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BARCELLONA - In prima pagina, il conservatore ABC titola malinconicamente: "L'ultimo trionfo de José Tomás a Barcellona". Perché, ancora una volta, il più grande matador vivente è uscito dall'arena a hombros, vale a dire sulle spalle dei suoi tifosi.
Era l'ultima corrida della stagione. Ma in Catalogna - forse - anche l'ultima della storia. A fine mese il parlamento autonomo deciderà se proibirle.
"E se non lo farà, in molti non la prenderanno bene" ci dice Jennifer Berengueras della Piattaforma Prou (Basta, in catalano). "All'80 per cento l'opinione pubblica è con noi".
Per finirla con i festejos taurini, l'associazione ha raccolto oltre 180 mila firme. Con l'appoggio di un'ottantina di municipi abolizionisti, in tutta la Spagna.
Animalismo a parte, nella Catalogna irsutamente nazionalista la corrida è da tempo percepita, o fatta passare, come simbolo della colonizzazione culturale spagnola. Aggiungeteci che tra meno di un anno si vota per le regionali, e - stimata al 30-35 per cento - la galassia catalanista arroventa i suoi slogan. Con la crisi economica, ha buon gioco.
Detto questo, l'eventuale proibizione delle adunate taurine cadrebbe in un momento paradossale. Perché,
sì, le corride saranno pure sempre più contestate ma non se ne sono mai fatte tante: circa 2500 l'anno
. Vuol dire che la gente ci va. Anche perché oggi, al centro della plaza, c'è il fenomeno
José Tomás
, 34 anni, da Madrid: il torero del secolo. Il ragazzo che è tornato a riempire le arene. L'altra sera, ha ipnotizzato i ventimila della Monumental dando fondo a tutti i pezzi forti del suo repertorio. Uno stile di statuario classicismo. Fatto di chicuelinas (gli eleganti passaggi con la cappa che devono il nome al loro inventore, il matador Chicuelo) e di manoletinas (quelli rischiosissimi con la muleta dietro la schiena, introdotti da Manolete, che, non per niente, è l'idolo dichiarato di Tomás).
El monje, il monaco - come l'hanno soprannominato per via dell'ascetica dedizione alla sua arte - ha un rapporto tutto speciale con Barcellona, la città che potrebbe decidere l'eutanasia della fiesta. È proprio qui che, nel 2007, José Tomás ha voluto fare la sua rentrée (trionfale, c'è da dirlo?) dopo alcuni anni di misterioso ritiro dalle scene.
Da allora, è qui che apre e chiude la stagione estiva delle sue esibizioni. In più s'è scelto un catalano come nuovo apoderado, diremmo agente. E - come se non bastasse - alla fine d'ogni corrida barcellonese se va dall'arena impugnando la senyera, la bandiera giallorossa della Catalunya.
Più chiara di così non potrebbe essere la sua sfida, silenziosa e tutta simbolica, a quelli che vorrebbero spegnere la fiesta. È come se il matador dicesse loro che nella bella e tollerante Catalogna dei diritti anche la corrida ha diritto a sopravvivere. Sì, ma vallo a raccontare ai tori, dicono gli altri.
I sold out di Tomás a Barcellona fanno imbestialire i militanti antitaurini
. Però, pur esaltandoli, non risollevano il morale dei pro-corrida catalani. Che da tempo consumano la loro passione in forma sempre più mogia, carbonara, fatalistica: sentono che la fine dello spettacolo s'avvicina.
"A Barcellona, i pochi aficionados rimasti vivono in una situazione di clandestinità terminale" scrive nell'ultimo bellissimo libro "Liturgia del dolor", Javier Villán, critico taurino tra i più raffinati, iconoclasti e urticanti: "La colpa della decadenza della corrida a Barcellona non è solo del nazionalismo antispagnolo; ma anche di una cattiva gestione imprenditoriale e di una passione popolare indolente, che ha lasciato passare ogni tipo di abuso, soprattutto la mancanza di rispetto verso il toro. E la critica taurina è inesistente. L'arena è per turisti, per ragazze svedesi. Davanti a una passione più vigorosa e a una fiesta più combattiva, il nazionalismo avrebbe potuto far poco". Sarà. Ma l'altra sera José Tomás è uscito dalla Puerta Grande in un'apoteosi. La folla urlava "Torero! Torero!". E nel delirio non si sentiva parlare svedese.
Marco Cicala - La Repubblica
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