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Un ricordo e una lacrima anche per gli amici animali
Terzo filare, secondo olmo. Ai piedi di quella pianta, dove si appoggiano vecchi tralci di vite, c'è Pinky. Ogni tanto l'anziano contadino, con il viso scavato dal sole e dalla fatica, mi vede arrivare. Parliamo del più e del meno, mentre la moglie taglia due fette di salame e stura una bottiglia di Lambrusco.
Dopo un po' lui sa che mi deve lasciare solo per una decina di minuti e non gli è mai sfuggita una risata, neanche quel giorno di nuvole, vento e acqua a catinelle, quando, fermata la macchina nel cortile davanti a casa, tirai fuori una cesta di vimini. Quando alzai il panno mi guardò, con quell'espressione dettata da un antico fatalismo che spesso s'incontra nei contadini delle nostre parti (e forse del mondo), usi a sopportare la siccità, come il gelo, la grandine come la sfortuna e la morte.
 
Gli chiesi un badile e una vanga e lui, senza la minima ombra di ironia, mi fece cenno di scegliere il posto dicendomi, con la sua voce incatramata da milioni di sigarette fumate, di andare avanti e scegliere il posto, che alla buca ci avrebbe pensato lui, semplicemente perché vanga e badile obbedivano docili ai suoi comandi, mentre si sarebbero presi gioco delle mie mani, incerte e disabili nel governare simili strumenti. Infatti, nonostante vento e acqua, in pochi minuti la semplicissima tomba era pronta e, mentre vi deponevo il corpo di Pinky, lui guardava da un'altra parte, le mani appoggiate sul badile e il rispetto di chi non è curioso di guardare se un uomo adulto piange o meno per la morte di un gatto. Dove c'è la sepoltura, l'anziano Angiolino ha piantato un bel ramo di gelso secco, non una croce no, sarebbe stato eccessivo. E poi lui non è un credente, come me. O almeno crediamo a quel che pare a noi. E gli diamo il nome che vogliamo noi.
Così l'olmo, la vite e il gelso vegliano, come è naturale che sia, su quel corpo nato in questa terra lambita dal grande fiume.
 
In questi giorni, ancor più che in altri, lo andrò a trovare, il vecchio Angiolino, che ormai fatica a camminare perché ha le arterie chiuse dal catrame e quasi ottant'anni di campagna e di bestie sulla schiena curva. Poi, uscito da quella casa di affetto e di comprensione, finirò il mio giro, nel piccolo giardinetto di casa mia, dove è sepolto Pirù, il cardellino con una zampa sola che mi ha tenuto compagnia per cinque anni e che ora dorme tra qualche fiordaliso che spunta in primavera e il calicanto che profuma le giornate fredde d'inverno.
«Ha un senso -chiedevo, quasi con ritrosia al direttore- pensare e scrivere anche di loro, di loro quando sono morti?» Leggo ancora la sua risposta tanto disarmante quanto saggia. «Caro Oscar, certo che ha senso. L'amore è un bene divisibile anche con gli animali».
 
Hai ragione, direttore, nel cuore ci possono stare sentimenti infiniti e c'è un piccolo posto per tutti, bambini, uomini, donne, anziani, «diversi», bianchi, neri, gialli, specialmente se abbiamo avuto la ventura (e la fortuna) di incrociare il loro cammino.
E allora non ho più alcuna vergogna né ritrosia se scrivo che in questi giorni farò il mio giro a salutare Rocky, Pinky, Leo, Stefy, Pirù e gli altri cento che hanno allietato la mia vita.
C'è un posto anche per loro. Sempre e ovunque.

Oscar Grazioli

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