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La perdita di un’amica fedele
Di Roberto Caroli
 
Era bello il mio cane, bianco come la neve, caldo come la lana. Viveva con noi da tredici anni e sei mesi. Quando arrivò cucciolo da Parma decidemmo di chiamarla Tosca, in omaggio a Giuseppe Verdi. Ben presto sarebbe diventata una della famiglia, puntuale nel salutarci al mattino, incontenibile e festosa quando rientravamo la sera. Era una di noi. Non so con quale criterio i cani scelgano il loro padrone, certo è che Tosca mi aveva incoronato ad essere il suo punto di riferimento. Pronta a seguirmi ovunque, anche nel fuoco se necessario.
Lei impazziva di gioia la domenica quando mi accompagnava nella passeggiata nei campi, o le sere in cui si correva insieme.
 
Sono tanti i ricordi che mi portano da lei. Le sue corse nella neve dietro lepri e fagiani; le sue lunghe nuotate al
mare. Uscire al guinzaglio era la cosa che preferiva, ma dovevo essere io a tenerla; rinunciava alla cosa che più amava al mondo se non era il sottoscritto a reggere quel cordone di cuoio. Protestava a modo suo: si sdraiava e non c’era verso di farle cambiare idea.
 
Scrivo del mio cane sapendo di incontrare la sensibilità di coloro che in casa hanno un animale.
Questi esseri straordinari che con il loro istinto riescono a sorprenderci sempre; quando i loro comportamenti non sono anche d’insegnamento: la fedeltà, il pudore, la discrezione,l’adeguarsi a qualsiasi situazione,per esempio.

Nemmeno nella sua fase senile voleva pesare su di noi. Se ne restava in disparte, senza lamenti e senza pretese. A volte ti seguiva in silenzio nello studio e li davanti sostava
anche ore, fi no a quando non te ne andavi. Che bello era il mio cane. Mai come oggi fatico a comprendere chi li abbandona, chi li maltratta, chi li trascura.
Gli unici nemici di Tosca erano i gatti e anche quando non riusciva più a vederli non sopportava il loro odore. Le cataratte che l’avevano estraniata dal mondo che la circondava «non sono operabili alla sua età. I cani», sentenziano i veterinari, «non si rendono conto del tempo che passa quindi un giorno equivale ad un mese come ad un anno».
Chissà se è vero. Me lo auguro. Forse in quei lunghi due anni di buio non ha sentito abbastanza la mia voce; non ha giovato spesso del calore della mia mano; non ha goduto a suffi cienza delle mie attenzioni.
Ero troppo preso da altre cose, le mille cose di questa vita.
Me ne rammarico. Ma lei non me lo faceva pesare.
 
Nemmeno quel maledetto undici ottobre quando la mia auto l’ha investita. Era troppo vecchia per reggere all’impatto. Ha solo abbaiato per l’ultima volta, si è girata verso di me e si è addormentata per sempre.
Non immaginavo di andare incontro ad un dispiacere così grande!
 
Di certo oggi mi sento più solo e più piccolo.
 
Perdonami Tosca.

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