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19 mag 2009 - Iniziata la mia attività di tirocinante presso il Servizio di Psicologia all’ASL 1 di Agrigento, in uno dei soliti giorni di lavoro vengo colto da un flashback che mi ricorda l’evento più simpatico della mia intensa attività di Assistente Volontario presso una Casa Circondariale.
 
Ebbene, non sono solo gli esseri umani a “finire in carcere” per provvedimenti di giustizia, ma anche l’animale più innocuo al mondo: il gatto, grande amico dell’uomo. In uno dei soliti giorni in cui mi recavo nell’imponente struttura dalle mille sbarre, assistevo ad una scena così insolita e inaspettata che mi produceva una lunga risata: salendo verso i piani, mi passava tra i piedi un gatto che, “fuggitivo”, si avviava verso la scala che avevo appena percorsa. In un primo momento, ebbi l’istinto di trattenerlo quasi fosse un detenuto che stava per evadere ma un secondo dopo, ridendo, pensai: “se lo catturassi,  dovrei consegnarlo alla giustizia?”.
 
Non riuscivo a spiegarmi come in un carcere, i cui confini sono protetti, possa essere entrato un gatto; curiosamente lo chiedevo ad un agente che, con  fare molto rassicurante, mi raccontava che vicino alla mensa si possono spesso “avvistare” dei gatti che attendono il cibo come fossero fuori da una macelleria.
Vengo poi a sapere che anche i detenuti avevano avuto contatti ravvicinati con i gatti sino a diventare loro confidenti. Molto tenere le storie raccontatemi dai detenuti sul felino dall’alta classe a cui lanciavano alimenti dalle finestre e con cui “si confidavano”. In quel posto, odiato da tutti, gli stessi gatti avevano trovato sostentamento morale ed alimentare. Per un attimo mi sentii  rubata la mia attività di volontario.
 
La morale che si evince è che si può imparare anche dagli animali che si confermano i veri amici dell’uomo poiché, senza pregiudizio, sono pronti ad accogliere una carezza e, soprattutto, a perdonare.
 
Alfonso Giambra, servizio di psicologia
  
agrigentoweb.it

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